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Chi è un laico?
Come prima risposta si sarebbe tentati di dire: ogni battezzato, che dallo stato profano è stato chiamato da Cristo nella sua santa Chiesa, che nel sacramento del battesimo è stato sepolto insieme con lui nella sua morte (Rm 6,4), che con lui è risuscitato a una nuova vita divina (Ef 2,6); tutti i cristiani, i quali appartengono al popolo (laos) santo, avrebbero diritto a essere onorati col titolo di laico: papa, vescovi, sacerdoti, allo stesso modo del cristiano che vive allo stato matrimoniale ed esercita una professione profana. Ma una lunga tradizione non ci consente un tale uso della parola «laico»; tutti gli appartenenti al popolo santo vanno designati col nome di «fedeli»: è questa la categoria fondamentale e assoluta, la quale indica nel contempo che tutte le possibili posizioni ecclesiali nel loro reciproco riferimento hanno senso solo in modo relativo, ossia nel loro essere l’una per l’altra e l’una con l’altra. Tale realtà si fa evidente già per il fatto che esse si trovano tutte in comunione tra loro in quello che è il centro della Chiesa (in Cristo). Può esservi uno «stato sacerdotale», e ciò nonostante tutti i cristiani hanno parte al sacerdozio comune (di Cristo!), la quale affermazione (1 Pt 2,9!) non è una frase priva di contenuto. Può esservi uno «stato dei consigli», ma tutti i cristiani sono espressamente impegnati da Paolo a vivere secondo lo spirito dei consigli (1 Cor 7,29-31). Può esservi uno «stato matrimoniale», ma sposati e non sposati sono chiamati alla imitazione (non solo sul piano spirituale, ma anche fisicamente) di Maria. Infine, per quanto riguarda i «veri e propri laici» che vivono nel mondo, essi, come tutti i cristiani, sono «stranieri e pellegrini» in questo mondo (1 Pt 2,11) e hanno «la loro patria nei cieli» (Fil 3,20), mentre di nuovo tutti insieme condividono una loro porzione di mondo in ciascun sacerdozio e dietro le mura di ogni chiostro, «altrimenti dovreste uscire dal mondo!» (1 Cor 5,10). Noi tutti come popolo di Dio siamo «nella stessa grazia» (1 Cor 1,4) e «nella stessa condanna» (Lc 23,40). Oltre a questo reciproco rapporto tra gli uni e gli altri e degli uni con gli altri, vi è anche il rapporto degli uni per gli altri; nessuno entra in un ordine religioso per sé, ma per il bene della Chiesa e del mondo; nessuno diventa prete se non per i suoi fratelli e sorelle; nessuno esercita una professione secolare, senza curarsi della salvezza dei suoi simili, giacché «ogni battezzato è consacrato pastore d’anime» (K. Rahner),1 e ogni famiglia cristiana è essenzialmente aperta alla grande famiglia ecclesiale. Se ora vogliamo indicare le differenze in questo quadro della Chiesa secondo le forme di vita già menzionate, dobbiamo fin dal principio guardarci da una semplificazione basata su dei luoghi comuni, ossia dividendo i cristiani in «chierici» (che allora sarebbero di fatto anche la «Chiesa vera e propria») e «laici» (che in primo luogo andrebbero considerati come non-chierici e con ciò non raramente come cristiani in subordine). Se vogliamo schematizzare (e quindi necessariamente semplificare), vediamo che i principali stati di vita formano una croce:
Subito appaiono chiaramente le affinità: tra lo stato laicale e lo stato matrimoniale (sebbene non ogni laico debba essere sposato), tra il ministero sacerdotale e lo stato dei consigli (poiché ogni sacerdote s’impegna quanto meno all’obbedienza e al celibato, e i sacerdoti regolari nonché quelli degli istituti secolari pronunciano tutti e tre i voti), tra lo stato dei consigli e lo stato laicale (poiché gli ordini religiosi hanno anche fratelli laici, e gli istituti secolari laici riuniscono le specificità di entrambi gli stati). Perfino tra lo stato matrimoniale e quello dei consigli si potrebbe tirare una certa linea nello stato vedovile, al quale nella Chiesa primitiva corrispondevano prescrizioni e aspettative ben precise (1 Tm 5). In base a quanto detto sopra si potrebbe ravvisare un legame anche tra stato sacerdotale e stato matrimoniale per il fatto che entrambi sono diretti a una fecondità cristiana e integralmente umana, entrambi hanno di mira l’unione Cristo-Chiesa (Ef 5). Ma queste affinità non portano a confondere tra loro le specificità di ciascuno stato, e il nostro primo compito sarà ora quello di mettere in risalto il carattere distintivo del cristiano «laico» (le virgolette vanno sempre mantenute!). Ogni stato tuttavia deve rimanere consapevole che ha da mantenersi sempre nella unione ecclesiale e nella corrispettiva comunicazione con gli altri e non può pretendere nessuna posizione di monopolio.
Il «laico», in quanto si definisce rispetto agli altri stati, deriva tale sua distinzione non tanto dal trovarsi egli sociologicamente immerso «nel mondo», quanto dal fatto della sua consacrazione sacramentale attraverso il battesimo e la cresima, in base alla quale egli si trova a essere destinato e attrezzato in vista di valorizzare l’esistenza cristiana in mezzo a quegli ambiti mondani in cui è inserito. Inoltre egli può anche aver ricevuto dallo Spirito Santo un particolare carisma; non è detto in alcun modo che i carismi debbano sempre essere straordinari e appariscenti, Paolo per esempio menziona tra simili doni l’elemosina, la misericordia, l’ospitalità (Rm 12,8-13), ma devono avere la semplice proprietà di distinguersi nell’ambito del proprio comportamento cristiano nel mondo. Ogni cristiano ha una missione (a ben riflettere, questo termine andrebbe sostituito con la parola «apostolato» che si ricollega agli Apostoli), il «laico» ha da Cristo la missione di manifestare per quanto possibile la fede vissuta nell’ambito mondano (ossia nella propria «secolarità», che non è profanità) in cui si trova a operare. Questo egli fa in obbedienza a Cristo e del resto con la sua libera responsabilità, senza aver bisogno a tale scopo di una personale «consacrazione» o di un personale «incarico» da parte della Chiesa. Secondo una determinata visione della Chiesa egli si troverebbe a essere nella posizione centrale: lo stato dei consigli ha appunto questo scopo, di pregare e offrirsi per la riuscita di tale missione, e il mistero ecclesiale, quello di educare e introdurre il «laico» in una fede adulta e mantenerlo in essa.2 Per quanto riguarda la professione, ciò è oggi più difficile di un tempo, a motivo della enorme specializzazione dei vari settori, delle loro connessioni anche con la politica e l’economia, ma queste accresciute difficoltà sono un invito tanto più pressante a mantenere le posizioni. L’esigenza di valorizzare l’elemento cristiano attraverso la competenza professionale, in tutti i rami della scienza (basti pensare ai problemi-limite dell’odierna biologia), della medicina, della letteratura (dove sono oggi i poeti cristiani?), dell’arte (Picasso e Dalì devono avere l’ultima parola?), del giornalismo, della politica, dell’economia è più urgente che mai. L’affannosa corsa di molti giovani cattolici verso una «teologia dei laici», considerata in tale contesto, e nonostante il nuovo canone 119, paragrafi 2 e 3, può essere vista solo come fuga e defezione rispetto al proprio compito e come un mascherato e inconsapevole clericalismo. Analogamente, parecchi teologi laici sarebbero da qualificare secondo la figura del clericus occasionatus, come nel Medioevo la donna era designata come un mas occasionatus. Parecchi, dico, e non già tutti, poiché un buon insegnante «laico» può benissimo insegnare, fra le altre materie, anche la religione. La «Chiesa» viene da molti scambiata con i compiti del ministero ecclesiale, così come ai tempi (nella maggior parte dei paesi ora fortunatamente superati) dell’«Azione cattolica» la missione dei laici veniva organizzata e controllata dalla Gerarchia, di modo che vescovi e sacerdoti erano dell’avviso di poter disporre grazie ai «laici» di una longa manus nel mondo, in quei posti dove non potevano arrivare direttamente. Ciò diventa oggi ancor più problematico per il fatto che vediamo preti-teologi introdursi e legiferare in campi nei quali solo un «laico» con educazione professionale specifica può avere una informazione veramente adeguata e porre riparo ai guasti di una cattiva amministrazione, voglio dire i campi della politica e delle leggi dell’economia divenute oggi così complicate. «È diritto dei fedeli laici che venga loro riconosciuta nella realtà della città terrena quella libertà che compete ad ogni cittadino; usufruendo tuttavia di tale libertà, facciano in modo che le loro azioni siano animate dallo spirito evangelico e prestino attenzione» – naturalmente! – «alla dottrina proposta dal magistero della Chiesa, evitando però di presentare nelle questioni opinabili la propria tesi come dottrina della Chiesa» (CIC 227). Possiamo richiamare quanto esposto da A. v. Harnack sulla Missione e diffusione del cristianesimo nei primi tre secoli,3 e vedere quali ruoli hanno esercitato in ciò i funzionari, l’esercito e particolarmente le donne. E questo, come si addice ai «laici», più con l’efficacia del lievito che non coi tentativi diretti di conversione, che rientrano nella funzione del missionario ufficiale. «Se i laici occupassero tutto quanto il campo del loro apostolato, che pure appare loro così “ristretto”, in capo a mezzo secolo il mondo sarebbe cristiano».4 Mentre così la condizione di «laico» nella Chiesa sotto un certo aspetto (ma solo per tale aspetto, in quanto è l’insieme di tutti gli stati a formare la Chiesa) può essere considerata lo stato principale, rispetto al quale il sacerdozio ministeriale e lo stato dei consigli si configurano più come «servizio» – e l’ultimo concilio con il suo concetto di «popolo» ha mirato anche in questa direzione – sorgono tuttavia sulla base delle connessioni e dei rapporti ecclesiali, svariati casi di confine non facilmente definibili in concetti. Incompatibili sono soltanto (secondo il nostro schema) le pure contrapposizioni: tra il ministero sacerdotale e il laico principalmente impegnato col suo lavoro nel mondo, e tra lo stato matrimoniale e lo stato dei consigli che implica la rinuncia al matrimonio. Per tutto il resto sono possibili conciliazioni tra i diversi stati, pur presentandosi sempre nei vari casi la domanda intesa a stabilire quale sia di volta in volta il momento decisivo. Un chiaro esempio in tal senso è quello del prete operaio, che non diventa un «laico» a motivo del suo lavoro in fabbrica, né lo vuole diventare, dal momento che la sua collaborazione coi lavoratori gli si prospetta come il mezzo più idoneo per attuare efficacemente il suo servizio sacerdotale. Una certa, ancorché non profonda problematica può presentare l’unione del sacerdozio con lo stato dei consigli, nonostante le affinità esistenti fra i due stati. Essa diventa molto evidente ove si consideri che l’accento principale può essere posto ora sull’una ora sull’altra delle due sfere che pur sono unificanti. Il membro di un ordine religioso, che al tempo stesso sia sacerdote – a prescindere dal fatto che appartenga a un ordine prevalentemente contemplativo o attivo –, ha la sua appartenenza principale nello stato dei consigli; in via eccezionale potrà anche essere parroco di una comunità, ma normalmente in tale funzione farà solo da sostituto. Un prete diocesano, invece, il quale (come avviene in un istituto di preti secolari) segua espressamente i consigli evangelici – al che ha diritto ogni cristiano non sposato – riconoscerà nella diocesi il proprio luogo principale di appartenenza. Un problema che va più in profondità nasce nel caso dell’unione tra «laicità» e stato dei consigli. Innanzitutto qui lo stato di «laico» è necessariamente disgiunto da quello matrimoniale, poiché lo stato dei consigli esige il celibato. Ma anche i rimanenti due consigli evangelici sembrano esigere delle restrizioni nello stato di «laico», laddove cioè intendono la «povertà» come vera e propria nullatenenza, e l’«obbedienza» viene più o meno estesa anche al campo della professione secolare, al fine di attuare nella sua integralità il significato dello stato dei consigli. Per il membro laico di un ordine contemplativo o attivo, la suddetta tensione non è avvertibile, giacché il suo luogo originario di appartenenza è chiaramente nell’ordine. Quanto agli istituti secolari di uomini e donne che lavorano nel mondo, invece, sorgono dei punti di attrito che non si possono eludere, ma che tuttavia non significano nulla in contrasto con la fecondità cristiana di una tale forma di vita. Sul piano del diritto canonico la questione è chiaramente regolata: «Un membro di istituto secolare, in forza della consacrazione, non cambia la propria condizione, canonica laicale o clericale, in mezzo al popolo di Dio; salve le disposizioni del diritto a proposito degli istituti di vita consacrata» (CIC 711). I membri di un tale istituto, che lavorano nel mondo in mezzo ad altri laici cristiani e non cristiani, hanno fatto valere questa disposizione giuridica. Tuttavia la qualifica di «laico» subisce qui una certa modificazione, una oscillazione, che in pratica si palesa chiaramente allorché ci si chieda se i membri di un tale istituto riconoscano il proprio luogo di appartenenza principalmente nello stato di «laici» o in quello dei consigli. Nel primo caso, si affermerà piuttosto la tendenza a «spiritualizzare» i consigli (per es.: meno obbedienza nei riguardi di un superiore che nei riguardi di Dio e della «situazione», deliberazioni democratiche, povertà intesa più come una «disposizione dell’animo» che non come qualcosa di stabilito dalle regole); nel secondo caso, la comunità si orienterà in modo più rigoroso verso lo stato dei consigli nella sua purezza. In entrambi i casi, ma con diversa importanza tra l’uno e l’altro, può sorgere la domanda, se nella designazione di «laico» non si debba distinguere qui tra il punto di vista sociologico e quello teologico: «laici» sono sicuramente i membri di tale istituto nel primo senso; fino a che punto essi vogliano esserlo nel secondo senso, dipenderà dalla interna autocomprensione dell’istituto e dagli orientamenti che ne risulteranno. Se vogliamo infine stabilire quale affinità può esistere tra stato sacerdotale e stato «laico» (e matrimoniale), potremo richiamarci ai carismi che possono convenire a entrambi, nonché alla possibilità di considerare il ministero stesso come una forma di carisma (2 Tm 1,6), sebbene non possano in alcun modo essere posti l’uno e l’altro al medesimo livello. Il sacerdozio ministeriale è una chiamata che fa uscire dallo stato secolare, in cui possono esservi dei carismi. È questa uscita dal secolo la ragione più profonda per la quale il sacerdozio non può combinarsi con lo stato secolare del matrimonio. Come conclusione, dobbiamo tentare una parola di chiarimento sui 31 paragrafi che nel nuovo Codice riguardano le «Associazioni dei fedeli». Tra le finalità di tali associazioni sono annoverati (298): 1. l’incremento di una vita più perfetta, 2. la promozione del culto pubblico o della dottrina cristiana, 3. il perseguimento di altre opere di apostolato, quali a) iniziative di evangelizzazione, b) esercizio di opere di pietà o di carità, c) animazione dell’ordine temporale mediante lo spirito cristiano. Inoltre i fedeli sono esortati a dare «la propria adesione soprattutto alle associazioni erette, lodate o raccomandate dall’autorità ecclesiastica competente». Più avanti queste associazioni vengono distinte in associazioni pubbliche e private, a seconda che vengano erette dall’autorità ecclesiastica (301 § 3) o costituite dai fedeli stessi (299 § 1-2). Le associazioni private sono riconosciute dalla «Chiesa» solo se i loro statuti «sono esaminati dall’autorità competente» (299 § 3), se, nonostante la loro «autonomia» (321), «sono soggette alla vigilanza dell’autorità ecclesiastica, come pure al governo della medesima autorità» (323); possono scegliersi un consigliere spirituale, «tuttavia colui che è scelto deve avere la conferma dell’Ordinario del luogo» (323 § 2); l’associazione può anche «essere soppressa dall’autorità competente se la sua attività è causa di danno grave per la dottrina o la disciplina ecclesiastica, oppure di scandalo per i fedeli» (326 § 1). Se si considerano le finalità di dette associazioni come vengono indicate nel c. 298, vediamo che vi si trovano mescolate finalità specificamente laiche (una vita più perfetta, animazione dell’ordine temporale mediante lo spirito cristiano) e altre specificamente clericali (servizio divino, promozione della dottrina cristiana, evangelizzazione), mentre, per le «opere di pietà e di carità», si può pensare a entrambi gli stati. Ora, quando si tratta di iniziative specificamente «laiche», come ad esempio di un’associazione di medici, giuristi, giornalisti, ecc. cattolici, possiamo senz’altro escluderle qui tutte come «pubbliche», ossia come associazioni erette dall’autorità ecclesiastica (anche se non sono poste sotto la guida ecclesiastica, 317,1 e 3); in quanto tali sarebbero praticamente degli organi ausiliari del clero, dal quale ricevono «la missione per i fini che esse si propongono di conseguire in nome della “Chiesa”» (313). K. Rahner non avrebbe timore di includere persone di tali associazioni fra gli appartenenti in senso lato al «clero» (non consacrato).5 Diverso è il caso, naturalmente, quando dei laici, a motivo della loro competenza, vengano occasionalmente chiamati come consulenti dal clero (per esempio da un sinodo dei vescovi). Ma è degno di nota che nelle disposizioni conclusive (327) venga raccomandato ai laici di tenere in grande considerazione, fra le associazioni menzionate, «specialmente quelle che si propongono di animare mediante lo spirito cristiano le realtà temporali», e dunque quelle delle quali constatiamo che si assumono molto chiaramente di svolgere un compito «laico». Oggi tuttavia bisognerà preoccuparsi, oltre che dell’affiancamento di laici al clero, anche del contrario, ossia dell’affiancamento di ecclesiastici alle cosiddette «comunità di base» autonome le quali, dirette da laici, ricorrono ai religiosi solo per occasionali servizi ausiliari.
- Schriften III (1956). Cfr. il mio Christlicher Stand (Johannesverlag Einsiedeln 1979), pp. 309 ss.↩
- Ibid.↩
- Hinrichs (Leipzig 1903).↩
- K. Rahner, l.c. p. 363.↩
- Lc. p. 361: «L’apostolato dei laici non è (...) definito da una propria missione conferita dall’alto», p. 351: «Una partecipazione a questo apostolato (del clero) da parte dei laici è impossibile ed è semplicemente una contraddizione in sé», perciò non si dovrebbe parlare di «apostolato laico», ma tutt’al più di «apostolato dei laici»: «L’apostolato affidato in via ufficiale (...) non è un apostolato del laico. Se il laico pretende di assumerselo o se effettivamente ne viene investito, cessa di essere un laico, quand’anche l’apostolato gli venga affidato senza consacrazione, ma in modo adeguato e stabile».↩
Hans Urs von Balthasar
Original title
Wer ist ein Laie?
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Specifications
Language:
Italian
Original language:
GermanPublisher:
Saint John PublicationsTranslator:
Luigi FrattiniYear:
2022Type:
Article
Source:
Strumento internazionale per un lavoro teologico Communio 83/84 (Milano, 1985), 4–11
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